Istituto Universitario Don Giorgio Pratesi

Diari Quarto Incontro del ciclo “Conversazioni dal Sud. Pratiche politiche, educative e di cura”

A mio avviso, protagonista di questo quarto incontro è stata “la parola”.

La lingua è un’azione politica, il linguaggio è un atteggiamento politico, le parole stabiliscono azioni concrete e determinano conseguenze, questo ha affermato la professoressa Cristiane Landulfo nel suo intervento.

La parola ha un suo proprio peso specifico, una forza intrinseca capace di trasformare la realtà, sia in positivo che in negativo. La parola si diffonde, si trasmette, riverbera se stessa indicando direzioni e mostrando orizzonti. La parola permette di far sentire la propria voce e raccontare la propria storia, se critica e consapevole diventa generativa e permette di esercitare quella differenza che è strumento di resistenza, punto di partenza che amplia il dibattito e lo rende autentico, non assoggettato, non adattato, contrastando il fenomeno della colonialità del pensiero e del sapere.

La parola ha essa stessa una propria storia, un passato, un motivo di esistere, le parole che noi usiamo altri le hanno usate prima di noi, sono frutto di scelte, di accostamenti, di pensieri, di influenze sociali e politiche che spesso vengono ereditati in maniera passiva e considerati universali. Pensiamo anche solo alla parola “Femminismo”, alla parola “Donna. Queste parole se approcciate criticamente e problematizzate possono diventare motore di ricerca delle proprie origini e della propria storia e allo stesso tempo strumento di apertura e di dialogo con l’altro per il quale la stessa parola ha un significato diverso.

A proposito di parole che smovono, concludo con la domanda-riflessione che ha pro-posto il professor Fleuri: quali sono i movimenti che stiamo facendo per connetterci con le nostre radici ancestrali?

 

Veronica Lazzari, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

“Come mai a questo incontro partecipano solo donne con la presenza di pochi uomini?” Questa domanda, posta da una corsista nella chat dell’incontro ha suscitato il mio interesse ed è stato il mio filo conduttore durante l’intero pomeriggio. Come mai dinanzi a temi così importanti e così attuali, l’uomo, o un certo tipo di uomo, viene sempre meno, partecipa sempre meno. Il “femminismo senza frontiere” citato durante gli interventi, deve o dovrebbe essere ciò che ci accomuna, ciò che ci dovrebbe accomunare, mi spingo oltre a dire che forse dovrebbe essere la sfida comune degli uomini e delle donne. Molto spesso però, avendo davanti agli occhi l’Occidente, questa sfida comune non viene recepita, anzi, ormai è normale ascoltare dai telegiornali femmicidi, violenze o altro. Mi ha colpito e credo che sia necessario, come ribadito ancora una volta durante gli interventi, riprendere e affrontare nuovamente e in una nuova visione il conflitto, visto quasi sempre in modo negativo, ma ora andrebbe rivalutato. Un conflitto che interroghi prima di tutto me stesso, la mia soggettività, interroghi il mio rapporto con l’altro, un conflitto che faccia emergere che non posso avere ragione sempre, che esiste anche l’altro, in questo caso la donna, il femminismo. Mi ha colpito molto, in tutti gli interventi fatti, la passione che è venuta fuori, la forza che mi è arrivata nelle riflessioni condivise.

 

Giuseppe Cutillo, studente dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

Questo quarto incontro ha smosso più che mai la mia coscienza, mi ha offerto la preziosa opportunità di posizionarmi di fronte alla tematica complessa dei movimenti femministi multipli e mi ha profondamente emozionato. Ascoltare, riflette e parlare di pratiche popolari legate al pensiero decoloniale femminista mi ha spinto a guardare oltre ogni struttura culturale che fino ad ora, da donna bianca europea, ho vissuto in maniera più o meno implicita. Per citare gli insegnamenti del Professor Fleuri, per comprendere fino in fondo le motivazioni legate all’attivismo dei movimenti femministi credo che sia necessario “svegliarsi dal sonno”, accendere un incredibile senso di responsabilità nei riguardi del mondo che ci accoglie. Speranza, cambiamento, trasformazioni, lotte, resistenza, alleanze sono solo alcune delle tante parole che sono state pronunciate dalle relatrici dell’incontro e che rappresentano per me quei principi sui quali muovere le battaglie quotidiane connesse al mondo delle donne, per continuare a contrastare ogni forma di discriminazione della quale la società odierna è ancora prigioniera. L’apprendimento delle idee, delle storie difficili di lotte identitarie nell’epoca postcoloniale delle donne del Sud a confronto con le situazioni delle donne bianche occidentali mi ha aperto uno scenario articolato nel quale si inserisce la differenza dei criteri di sviluppo del movimento transazionale, che racchiude valori molteplici. Fino ad oggi ignoravo la grande varietà di lotte che donne provenienti da culture considerate subalterne, con storie, etnie e vissuti di oppressione diversi, hanno portato alla luce e all’interno delle quali hanno fondato e costruito i principi delle loro pratiche. La potenza di questo progresso basato sul principio di “differenze tra donne” e di “mobilitazione senza frontiere” mi travolge, mi affascina e nel contempo mi suscita un enorme sentimento di gratitudine. Sono rimasta, inoltre, fortemente colpita dallo studio intorno all’educazione linguistica. Prima di oggi non avrei mai pensato alla lingua come possibile oggetto di oppressione/sterminio da parte del colonialismo.

Credo che ogni uomo e ogni donna abbia il dovere e il diritto di continuare a tenere alta l’attenzione sulle tematiche dei movimenti femministi per non dimenticare, per non rendere vane le battaglie, gli sforzi e le conquiste che negli ultimi decenni le donne del sud globale hanno portato avanti rendendo possibile quello che agli occhi di quella parte del mondo lasciato ai margini, sembrava impossibile. La mia idea, dopo questa esperienza di incontro e di valore, è che partendo dalle realtà di appartenenza è possibile credere all’incontro e al confronto critico con donne così distanti nella storia e nel vissuto tanto quanto vicine in idee di libertà, valori di umanità e uguaglianza oltre ogni luogo e angolo del mondo.

 

Sara Fusco, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

Vorrei dedicare l’incontro di oggi al femminismo turco e alle femministe turche che in questo momento lottano contro l’ingiustizia…

Penso che del femminismo decoloniale si parla poco, sembra essere poco conosciuto e valorizzato dal femminismo bianco, ecco perché bisogna continuare a parlarne, riconoscerlo significa trovare delle connessioni tra le esperienze radicate in diversi parte del mondo e riscrivere le strutture in cui i nostri mondi sono pensati.

 

Hassania Lakrad, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

Alcune delle riflessioni che la partecipazione a questo quarto incontro ha innescato in me, le trovo profondamente in risonanza, anzi diciamo proprio in susseguirsi con quelle dell’incontro precedente, maturando un pensiero che va sempre più articolandosi.

Infatti mentre la scorsa volta avevo posto la mia attenzione sul porsi domande, quello che ho catturato oggi è quanto conti il percorso che si compie giorno per giorno, piuttosto che il solo risultato finale.

Ho pensato alla potenza del mettere in discussione continuamente quello che si fa, problematizzare il processo rende il processo stesso emancipante!

Questo mi è apparso chiaro in tutte le relazioni e anche nel dibattito finale, sia pensando ai femminismi, la potenza della resistenza delle femministe del sud e la portata di apertura che il loro contributo ha prodotto nel mondo coloniale.

Ascoltando, in particolare, la professoressa Cristiane Landulfo sono rimasta incantata nel pensare a quanto sia stata coraggiosa e sognatrice nel costruire il corso di italiano in una prospettiva decoloniale.

Ha davvero abbattuto la dicotomia del coloniale/decoloniale, è riuscita ad insegnare una lingua coloniale senza perpetuare la colonialità del sapere. Ha rotto lo schema, rimanendo dentro lo spazio che le è stato concesso. Ha costruito un insegnamento altro, un insegnamento che raggiunge quello che è il suo scopo, liberare ed emancipare. Ho pensato ai programmi, ai materiali che si è costruita man mano, ho pensato al sogno e la passione che animano tutto il suo lavoro! Mi sembra davvero di immenso valore il non rinunciare ad un qualcosa (es: insegnamento di una lingua coloniale) perché strutturalmente in contrasto con la prospettiva che ci anima (es: cultura decoloniale), ma decostruire e ricostruire il processo che porta alla meta.

Uno dei concetti, che attraverso i corsi della Professoressa Muraca ho scoperto è quello dell’inedito possibile, il corso di italiano decoloniale credo lo concretizzi in pieno.

 

Laura Santinelli, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

Questo incontro mi riporta in una dimensione lontana da me, ma ne sono contenta. Di nuovo sento di appartenere ad un mondo e non ad una nazione e neanche ad un genere. Mi identifico nelle relatrici come essere umano, coinvolta nel prendere coscienza delle varie situazioni di lotta, di discriminazione, di violenza, di differenze, di multiformi culture e di variegate sofferenze, come di tanti femminismi. Uscire fuori dal proprio mondo di donna italiana ha un valore enorme, se non lo faccio mi sento davvero” piccola”.

Approcciarsi al pensiero del femminismo transnazionale mi rende invece più forte, mi fa sentire migliore.

Nello stesso momento mi rendo conto di quanta strada tutta ancora in salita c’è da affrontare, per decostruire, combattere atteggiamenti, linguaggi, pensieri, stili di vita, ancora oggi improntati su valori sessisti, maschilisti, capitalisti, colonialisti.

Possiamo intanto iniziare dalla parole? Dal linguaggio?

Iniziamo anche a prendere coscienza di noi stesse, radicate, forti, solo così possiamo andare verso l’altro per un rapporto basato sul rispetto e pari dignità.

Impariamo a non sentirci le uniche responsabili della cura.

Teniamo ben presente che finché ci saranno donne che soffrono continueremo a soffrire tutte.

 

Tiziana Puzzovio, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo 

Quello della discriminazione e dell’esclusione è un tema estremamente delicato ed attuale.

Come negli altri incontri, la centralità del tema della diversità è stato molto presente, diviene ancora più delicato quando le protagoniste sono le donne, che tutt’ora richiamano ad una categoria molto presa di mira e sminuita.

Quello su cui mi sono fermata a riflettere è stata la differenza tra culture, l’essere una donna bianca e le differenze di sensazione di sicurezza personale rispetto ad essere una donna nera.

In diverse occasioni mi sono trovata di fronte a linee di pensiero secondo cui è una sorta di fortuna quella di nascere nell’emisfero giusto. Di fronte a determinati argomenti forse, e purtroppo, è vero. Ancora oggi è molto presente un pensiero patriottico, che vede le donne messe in secondo piano, modalità di pensiero che non dovrebbe più esistere, ma che dovrebbe promuovere l’uguaglianza e il rispetto per l’altro, a prescindere dal colore, dal sesso o dalla provenienza.

 

Alessia Vecchioni, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

Si apre questo quarto incontro con le teorie e pratiche femministe, in una conversazione tutta al femminile. Si parla del femminismo e di molti aspetti che descrivono molto bene anche a livello storico il movimento delle donne mettendo a confronto e rafforzando la capacità di dialogare e di cooperare delle donne. Passiamo a comprendere meglio questi movimenti femminili attinenti al colonialismo. Si approfondisce la possibilità di formare le donne, creare un lavoro per loro e renderle indipendenti. Le donne del sud sono sfruttate dalle donne borghesi bianche e dagli uomini colonizzatori vengono viste solo per appagare desideri sessuali, il femminismo post-coloniale combatte questo in modo che le donne imparino che c’è differenza tra donne bianche e nere secondo l’autrice Anzaldùa. Imparare ad ascoltare le voci delle donne farà la differenza. Si sottolinea l’importanza di impegnarsi nella costruzione della conoscenza del femminismo decoloniale per promuovere le donne in lotta per la propria liberazione. Molto coinvolgente è l’intervento di Cristiane Lanulfo, parla dell’importanza del linguaggio come interazione tra persone. Si parla di linguicidio che è lo sterminio di molte lingue e l’imposizione di quelle dei colonizzatori, che persiste fino ai nostri giorni attraverso sistemi di potere forgiati durante il colonialismo. Però con questo lavoro vuole sottolineare l’importanza dell’educazione linguistica che permetterà la lettura del mondo e non solo delle parole. Verso la parte conclusiva si fa un confronto tra tutti parlando di responsabilità che hanno anche le donne nella crescita dei figli, nell’essere mogli, si va in discorsi molto profondi, in una connessione molto importante dove tutti noi ci dobbiamo riconnettere con le nostre radici per recuperare i nostri valori. Si approfondisce il senso del conflitto dal punto di vista occidentale come situazione di comodo, perché si afferma che dovremmo imparare a fare un passaggio guardare l’altro come noi guardiamo chi abbiamo davanti.

 

Livia Crescia, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

L’incontro di questa settimana mi ha suscitato veramente forti emozioni per il fatto che si è parlato in modo particolare delle donne. Essendo io una donna e anche una madre mi sono sentita coinvolta in prima persona non solo per il fatto di aver scelto di essere un’educatrice ma anche perché mi sono resa conto che vi è sempre stata nella storia una lotta delle donne, spesso anche silenziosa, di cui poco si parla ma che ha contributo e continua ancora a portare importanti trasformazioni.

Mi ha colpito in modo particolare l’intervento della professoressa Cristiane Landulfo una docente dell’Università Federale di Bahia in Brasile. Si è presentata come un’insegnante bianca di origini italiane che come educatrice sente il dovere politico, etico, morale e professionale di formare insegnanti di lingue che riproducono il suo lavoro a persone che diventeranno futuri insegnanti. Ci spiega come la lingua, in modo particolare nei paesi colonizzati come lo stesso Brasile, viene considerata un’azione politica e come certi discorsi possono avere gravi conseguenze. Spesso non viene raccontata la realtà concreta ma solo ciò che si vuole far credere e nei racconti delle esperienze si lasciano immaginare altri scenari. La professoressa Cristiane dice che c’è bisogno di un’altra grammatica capace di far nascere un pensiero critico, un’Educazione linguistica appunto che sia potenzialmente decoloniale in modo che i dialoghi, la conoscenza e le esperienze attraversate dal potere coloniale possano in questo modo trasformarsi in qualcosa di diverso da quello che continua oggi ad essere un colonialismo moderno. Anche se pensiamo di vivere un periodo storico dove il potere coloniale sia finito da tempo, in luoghi come l’America latina, l’Africa, l’Asia si vivono ancora tante situazioni di oppressione e di violenza. Le donne in particolare sono vittime di questo potere e per far conoscere le loro storie vengono proposte opere di scrittrici delle ex colonie per portare a conoscenza tante situazioni particolari.  La storia di questi popoli, la loro subalternità, l’invisibilità delle donne di colore, lo sfruttamento sessuale dei loro corpi, la violenza contro le donne che si manifesta nella mutilazione genitale ancora in uso in alcune comunità somale e ancora si parla del fenomeno dell’immigrazione, del razzismo e anche delle appropriazioni culturali e linguistiche. Attraverso la lettura di questi racconti viene proposta un’Educazione Linguistica dove si affrontano temi importanti che devono essere messi in discussione per cercare di decolonizzare le coscienze e soprattutto che facciano riflettere. Alla fine del suo intervento la professoressa Landulfo ha letto una poesia della scrittrice Elisa Kidanè dal titolo “Lasciatemi sognare”. Le sue parole ci confermano quanto bisogno c’è ancora di scambio, di dialogo, di amore tra i popoli e non di sopraffazioni, di violenza per un continuo cambiamento che faccia sperare in un mondo più giusto.

 

Maria Stabile, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

Con il rischio di risultare anacronistica, durante tutto l’incontro al quale abbiamo partecipato, ho percepito una sorta di “fastidio”. Solo successivamente ho capito che non era vero e proprio fastidio quanto più rabbia e dispiacere per ciò che si raccontava.

Ascoltando le testimonianze riportate e i vari interventi delle relatrici, trovo assurdo che al giorno d’oggi si debba ancora parlare di lotta delle donne per conquistare la parità dei diritti nei rapporti civili, economici, giuridici, politici e sociali rispetto all’uomo; è come dire “lavoro e combatto per ricevere lo stipendio”: lo stipendio è previsto e dovuto ad ognuno per una prestazione lavorativa, tanto quanto i diritti spettano alle donne in quanto esseri umani.

Per la mia storia personale, ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia in cui non c’è mai stato bisogno di affrontare discussioni legate a questo tema; dai miei nonni, ai miei genitori, fino ad arrivare a me e mio fratello, il genere sessuale non ha mai influito nell’educazione, nell’espressione di idee, nel lavoro o nei compiti domestici.

Purtroppo, però, le differenze di genere sono storicamente radicate in tutte le culture e i temi che portano avanti i movimenti femministi non dovrebbero riguardare solo le donne ma anche gli uomini, le società e l’educazione in primis. Un’educazione che sia emancipatrice, libera e volta al rispetto di ogni essere umano a prescindere dal genere, dalla razza, dalla condizione sociale o dall’orientamento sessuale.

E di nuovo, come nei precedenti incontri, mi trovo a riflettere su quanto ancora non si è predisposti all’accettazione dell’altro, al dialogo con l’altro, al mettersi nei panni dell’altro, a vedere con gli occhi dell’altro per comprendere punti di vista differenti rispetto al proprio.

 

 

Beatrice Ceccarani, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo