Commento Convenzione di Lisbona
La Convenzione di Lisbona sul riconoscimento dei titoli
Carlo Finocchietti – Direttore del Cimea
La mobilità internazionale di studenti e laureati e la libera circolazione dei professionisti sono spesso ostacolate dal mancato riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali.
L’autoreferenzialità di molti atenei e docenti, le barriere difensive elevate dalle corporazioni professionali nazionali, il pregiudizio circa la qualità dell’istruzione superiore degli altri Paesi sono atteggiamenti e comportamenti che rischiano di coagularsi in una pericolosa miscela di protezionismo e di infettare il corpo sociale con il virus dell’autarchia.
I processi di internazionalizzazione che coinvolgono oggi in particolare i sistemi educativi e il mondo delle professioni devono necessariamente creare delle infrastrutture di sostegno che facilitino e fluidifichino i correlati flussi di mobilità.
Una di queste infrastrutture è la “Convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella regione europea”, nota anche con la dizione sintetica di “Convenzione di Lisbona” perché approvata l’11 aprile 1997 dalla conferenza diplomatica ospitata dalla capitale portoghese. La sua ratifica da parte italiana è avvenuta con la Legge 148 del 20021.
Le motivazioni e gli obiettivi della Convenzione di Lisbona
Le motivazioni che hanno portato alla firma della Convenzione sono descritte nel suo preambolo con quella chiarezza di principi intrecciata a un pizzico di retorica che contraddistingue i testi legislativi ufficiali delle organizzazioni internazionali. I principi ispiratori sono i seguenti:
- la realizzazione del diritto allo studio (“il diritto all’istruzione è uno dei diritti dell’uomo e l’insegnamento superiore, che è fondamentale per perseguire e migliorare il sapere, rappresenta un patrimonio culturale e scientifico eccezionalmente ricco tanto per i singoli che per la società”);
- il diritto allo studio è anche diritto al riconoscimento dei titoli di studio (“un equo riconoscimento dei titoli di studio è un elemento chiave del diritto all’istruzione e una responsabilità della società”);
la responsabilità internazionale delle università (“l’insegnamento superiore dovrebbe svolgere un ruolo vitale per la promozione della pace, della comprensione reciproca e della tolleranza, nonché per creare fiducia reciproca fra i popoli e le nazioni”); - la diversità come valore (“l’ampia diversificazione dei sistemi di istruzione nella regione europea riflette la sua eterogeneità culturale, sociale, politica, filosofica, religiosa ed economica, un patrimonio eccezionale che dovrebbe essere pienamente rispettato”);
- l’accesso alla diversità (“consentire a tutti i popoli della regione di sfruttare appieno tale ricco patrimonio di eterogeneità, agevolando l’accesso degli abitanti di ogni Stato e degli studenti di tutti gli istituti di insegnamento di ogni parte alle risorse educative delle altre Parti, e più specificamente rendendo meno gravoso l’impegno di continuare gli studi o completare un periodo di studi presso gli istituti di insegnamento superiore di quelle altre Parti”);
- il riconoscimento dei titoli favorisce la mobilità (“il riconoscimento di studi, certificati, diplomi e lauree rilasciati da un altro paese della regione europea rappresenta una misura importante per promuovere la mobilità accademica tra le Parti”).
Gli obiettivi che la Convenzione di Lisbona vuole raggiungere sono numerosi. Sono innanzitutto gli obiettivi specifici del reciproco riconoscimento dei titoli di studio:
- consentire ai diplomati della scuola secondaria superiore di accedere alle università e agli altri istituti di istruzione superiore di tutti i paesi;
- facilitare i programmi di scambi accademici studenteschi garantendo il riconoscimento deiperiodi e dei cicli di studio effettuati all’estero;
- utilizzare i titoli accademici nazionali finali per l’accesso al mercato del lavoro e delle professioni regolate in tutti i paesi o per proseguire gli studi a livello più avanzato;
- aumentare la quantità, la qualità e la trasparenza dell’informazione disponibile sui sistemi nazionali di istruzione superiore, sulle università e i loro programmi, sull’offerta formativa, suititoli di studio anche attraverso lo sviluppo dei centri nazionali d’informazione sulla mobilità e ilriconoscimento dei titoli e la diffusione di nuovi strumenti di certificazione come il”supplemento al diploma”.
Agli obiettivi specifici la Convenzione vuole saldare anche obiettivi di più ampia portata:
- sostenere, con misure nel campo del riconoscimento, lo sviluppo dei programmi di internazionalizzazione degli atenei e le iniziative di cooperazione universitaria internazionale promosse dalle organizzazioni internazionali, dai governi nazionali sul piano bilaterale e multilaterale, dalle singole istituzioni di istruzione superiore;
- creare un sistema generale di riconoscimento dei titoli a finalità accademiche che si affianchi al parallelo sistema generale di riconoscimento dei titoli professionali in costruzione in Europa grazie alle Direttive in materia di libera circolazione dei professionisti e in prospettiva mondiale grazie agli accordi Wto sulla liberalizzazione degli scambi dei servizi professionali (Gats);
- facilitare il processo di riforme in atto nei paesi dell’est europeo e creare un contesto favorevole alla collaborazione tra università di tutti i paesi europei e agli scambi studenteschi est-ovest;
- superare il preesistente sistema – datato e molto frammentato – di convenzioni europee settoriali con un’unica Convenzione basata su principi più aggiornati alla luce dei processi di internazionalizzazione in atto e condivisa tra le due grandi organizzazioni internazionali con competenze in materia di riconoscimento dei titoli, l’Unesco e il Consiglio d’Europa.
Le regole del riconoscimento
La prima e la seconda sezione della Convenzione sono dedicate alla terminologia e alla autorità coinvolte nei processi di riconoscimento. Si entra nel vivo con la terza sezione della Convenzione che fissa le quattro grandi regole alle quali devono attenersi i soggetti in campo: università, uffici di riconoscimento, singoli.
La Convenzione stabilisce il diritto di ciascuno a veder valutato il proprio titolo di studio e vieta qualsiasi discriminazione di sesso, razza, colore, disabilità, lingua, religione, opinioni politiche, origini nazionali, etniche o sociali, appartenenza a minoranze nazionali, proprietà, nascita o altro stato civile. La prima regola che viene stabilita è chiarissima: il riconoscimento dei titoli di studio deve avvenire esclusivamente sulla base di una adeguata valutazione delle conoscenze e delle competenze acquisite, prescindendo da fattori di altro genere non attinenti al valore del titolo di studio.
La seconda regola prevede che le procedure e i criteri impiegati per la valutazione dei titoli esteri e per il loro riconoscimento debbano essere “trasparenti, coerenti e affidabili”. L’ente che riconosce il titolo estero deve dunque rendere noti i propri criteri di valutazione (trasparenza). Tali criteri devono essere certi e non discrezionali; devono cioè applicarsi ai richiedenti senza sensibili differenze di comportamento tra un istituzione e l’altra (coerenza). I criteri di valutazione devono infine essere fondati su princìpi validi e condivisi nella comunità scientifica internazionale, e seguire codici di buona pratica (affidabilità).
La terza regola prevede che la decisione di riconoscere un titolo estero debba essere adottata sulla base di adeguate informazioni. Fornire informazioni utili è compito del richiedente e dell’università che ha rilasciato quel titolo. Le informazioni devono essere adeguate a descrivere la natura dell’istituzione che ha rilasciato il titolo, le caratteristiche del corso di studio seguito e il valore del diploma. Le informazioni devono essere inoltre fornite “in buona fede”. In questo modo l’organismo che effettua la valutazione è messo in grado di valutare correttamente ed eventualmente di
dimostrare che il richiedente non soddisfa i requisiti o ha fornito dati falsi o fuorvianti.
La quarta regola riguarda la durata del procedimento e la possibilità di interporre appello in caso di rifiuto. La Convenzione afferma che le decisioni relative al riconoscimento devono essere adottate entro un lasso di tempo “ragionevole”. Il testo finale approvato a Lisbona ha tenuto conto delle preoccupazioni di numerosi paesi ed ha evitato di fissare un limite preciso. Sono quindi i paesi aderenti a definire autonomamente la durata massima di un procedimento. Nella linea della trasparenza, il rifiuto del riconoscimento di un titolo deve essere motivato e deve contenere l’indicazione di eventuali procedure alternative. Nel caso in cui il riconoscimento non venga concesso, ovvero non venga adottata alcuna decisione, il richiedente deve poter appellarsi ad una autorità definita dalla normativa nazionale.
Il riconoscimento dei titoli di accesso all’università
La quarta sezione della Convenzione di Lisbona regola il riconoscimento dei titoli esteri di scuola secondaria per l’accesso alle diverse forme di istruzione superiore presenti in un Paese. E’ un capitolo importante perché riflette le forti differenze esistenti tra i Paesi firmatari in tema di durata della scolarità, di struttura e diversificazione dell’istruzione superiore, di bilancio tra formazione generale e formazione professionale, di selezione degli accessi. A queste differenze la Convenzione fa fronte elaborando un codice di comportamento di sette norme condivise.
La prima norma – molto generale – ma certamente chiara è quella che prevede che se un titolo consente in un Paese di accedere a quel sistema di istruzione superiore, esso sarà accettato anche dagli altri Stati come titolo valido per l’accesso ai rispettivi sistemi nazionali di istruzione superiore.
Tale norma è tuttavia temperata dalla possibilità di rifiutare l’accesso ad un titolo estero qualora sussistano sostanziali e comprovate differenze tra i requisiti generali di accesso nei due Paesi. E’ il caso, ad esempio, di quei paesi nei quali la scolarità pre-universitaria ammonta complessivamente a dieci o undici anni.
La seconda norma tiene conto della situazione di quei Paesi che prevedono che determinati titoli di scuola secondaria diano accesso solo ad alcune tipologie di istituti di istruzione superiore o ad alcune aree disciplinari e non ad altre. La Convenzione prevede in questo caso che anche il paese estero possa limitare l’accesso con quel titolo ad analoghi istituti di istruzione superiore o ad analoghi programmi.
La terza norma tiene conto della situazione di quei Paesi nei quali esiste una distinzione tra condizioni “generali” di accesso all’istruzione superiore e condizioni “specifiche” per l’accesso a determinati corsi. La Convenzione prevede quindi che nei casi in cui in un Paese l’ammissione a programmi particolari di insegnamento superiore dipenda dalla presenza di requisiti specifici, oltre a quelli generali previsti per l’accesso, i Paesi di destinazione potranno imporre la presenza degli stessi ulteriori requisiti.
La quarta norma riflette il caso frequente in cui l’ammissione ad un determinato istituto di insegnamento superiore (numero chiuso) o ad un determinato corso di studio (ad esempio: medicina) sia limitata o selettiva. La Convenzione stabilisce da un lato che nei casi in cui in un certo Paese i diplomi di scuola secondaria diano accesso all’insegnamento superiore solo se si superano ulteriori esami di ammissione, gli altri paesi concederanno l’accesso solo se tali requisiti vengano soddisfatti (ovvero offrano un’alternativa per poterli soddisfare nell’ambito dei propri sistemi di istruzione; stabilisce inoltre che, nei casi di ammissione a numero chiuso o selettivo, occorra assicurare che la valutazione dei titoli di studio stranieri venga effettuata in base a principi di equità.
La quinta norma è ragionevole e di assai agevole comprensione. A chi viene dall’estero per studiare può essere richiesto di dimostrare una conoscenza sufficiente della lingua (o delle lingue) in cui viene impartito l’insegnamento nazionale.
La sesta norma si occupa di riconoscimento di titoli di studio “non tradizionali”. In numerosi Paesi si può accedere all’università anche in assenza del tradizionale requisito del possesso di un titolo finale di scuola secondaria: ad esempio un adulto, che abbia una certa età o abbia accumulato una determinata esperienza professionale, anche se privo della “maturità”, può accedere ad un esame semplificato ed immatricolarsi all’università. Tale opportunità – secondo la Convenzione di Lisbona – non impegna i Paesi in cui tale opportunità non sia prevista a riconoscerla per l’accesso al proprio
sistema di istruzione superiore.
La settima norma regola il riconoscimento dei titoli secondari rilasciati da scuole operanti in un determinato Paese ma che fanno riferimento all’ordinamento scolastico di altri Paesi. E’ ad esempio il caso dei titoli rilasciati dalle scuole francesi o britanniche in Italia o dalle scuole italiane all’estero. La Convenzione prevede che, ai fini dell’ammissione a programmi di insegnamento superiore, ogni Paese possa stabilire che il riconoscimento dei titoli di studio rilasciati da scuole straniere che operano nel proprio territorio, sia subordinata a condizioni specifiche previste dalla legislazione nazionale o ad accordi governativi bilaterali.
Il riconoscimento dei periodi di studio
I programmi di cooperazione universitaria internazionale e di mobilità studentesca (quali, ad esempio, Erasmus, Tempus, Nordplus, Ceepus) hanno reso familiare agli atenei europei la prassi di integrare il curriculum studiorum nazionale con un periodo di studi effettuato all’estero. La Convenzione di Lisbona dedica la sua sezione quinta a questo processo e stabilisce il principio che i cicli e i periodi di studio effettuati all’estero siano riconosciuti dall’ateneo di provenienza. Tale principio è valido sia nel caso di studenti che si muovano nel quadro di programmi organizzati di mobilità sia nel caso di studenti free movers. Resta naturalmente salva la possibilità di rifiutare il
riconoscimento nel caso siano rilevate differenze sostanziali di formazione tra i due curricula nazionali.
La Convenzione individua inoltre due condizioni che facilitano il riconoscimento dei periodi di studio effettuati all’estero. La prima è l’esistenza di un accordo previo di collaborazione (learning agreement) tra i due atenei, quello di origine e quello di destinazione dello studente. La seconda condizione è che l’ateneo estero abbia rilasciato un certificato o un’altra adeguata documentazione attestante che lo studente abbia soddisfatto i requisiti richiesti per detto periodo di studio. Molto utile si rivela in questi casi l’uso della strumentazione prevista dal sistema Ects (European Credit Transfer System) sperimentato in Europa all’interno del programma Erasmus.
Il riconoscimento dei titoli finali di istruzione superiore
La sesta sezione della Convenzione di Lisbona impegna i Paesi firmatari a riconoscersi reciprocamente i titoli accademici finali. Questa indicazione generale tiene conto delle differenze spesso profonde tra i diversi sistemi nazionali ed in particolare tra quei Paesi che assoggettano al diritto nazionale i sistemi di istruzione e gli ordinamenti didattici, conferiscono valore legale ai propri titoli e ne elaborano un quadro di norme di protezione giuridica, e quei Paesi che adottano sistemi di accreditamento delle istituzioni, dei percorsi di studio e dei titoli, autogenerati dal corpo sociale. I principi fissati dalla Convenzione di Lisbona valgono dunque qualunque sia il modello ispiratore del sistema nazionale di riconoscimento dei titoli esteri (equipollenza, omologazione, nostrificazione, riconoscimento finalizzato, accettazione, accreditamento, ecc.).
In particolare il riconoscimento del titolo accademico estero dovrà portare almeno ad una delle conseguenze seguenti:
- l’accesso a studi di livello più avanzato o al dottorato di ricerca, alle stesse condizioni previsteper i candidati in possesso di qualifiche nazionali;
- l’uso del titolo accademico autorizzato nel Paese di origine;
l’accesso al mercato del lavoro.
La valutazione del titolo accademico estero può essere effettuata in uno dei termini seguenti:
- parere ai fini dell’occupazione in generale;
- parere ad un istituto accademico ai fini dell’ammissione ai suoi programmi di studio;
- parere a qualunque altra autorità competente in materia di riconoscimento.
La Convenzione prevede che l’analisi del titolo estero avvenga sotto due profili: la ricognizione da un lato delle “conoscenze” e dall’altro delle “competenze” dichiarate nel titolo di studio. Questa distinzione tra l’accertamento del “sapere” e del “saper fare” è naturalmente preordinata ad una valutazione attenta e non superficiale dei contenuti professionali orientati allo svolgimento di professioni specifiche.
L’indicazione della Convenzione per il riconoscimento dei titoli accademici esteri è temperata tuttavia da alcune riserve:
- il riconoscimento può essere rifiutato qualora si riscontrino differenze sostanziali – da documentare adeguatamente – tra i contenuti formativi del titolo estero e quelli del corrispondente titolo nazionale;
- il riconoscimento del titolo estero a fini dell’accesso a professioni regolamentate – in assenza di un diverso quadro di riconoscimento dei titoli professionali (quale quello disegnato dal sistemadi direttive comunitarie in materia di libera circolazione dei professionisti) – può essere legato alla richiesta di soddisfare ulteriori requisiti di tipo generalmente non accademico: tirocinio professionale di durata definita; esame di Stato abilitante all’esercizio della professione; accertamento della conoscenza della lingua nazionale.
La Convenzione regola anche il riconoscimento dei titoli accademici rilasciati da atenei operanti in un determinato Paese ma che fanno riferimento all’ordinamento universitario di altri Paesi. E’ il fenomeno noto con il termine di trans-national education. La Convenzione prevede che ogni Paese possa stabilire che il riconoscimento dei titoli di studio rilasciati da atenei stranieri che operano nel proprio territorio, sia subordinato alle condizioni previste da una normativa nazionale specifica o da accordi governativi bilaterali.
Il riconoscimento dei titoli di studio dei rifugiati
La Convenzione di Lisbona contiene norme di particolare valore civile che regolano il riconoscimento dei titoli dichiarati dai rifugiati, dai profughi o da altre persone in possesso di status giuridici equivalenti o assimilabili.
E’ previsto che ogni Paese adotti tutti i provvedimenti possibili e ragionevoli per elaborare procedure atte a valutare equamente ed efficacemente se i rifugiati soddisfano i requisiti per l’accesso all’istruzione superiore, a studi più avanzati o all’esercizio di attività professionali regolamentate anche nei casi in cui i titoli di studio dichiarati non possono essere comprovati dai relativi documenti.
L’informazione
La Convenzione dedica ben due sezioni a definire la quantità e la qualità di informazioni che vanno messe in circolo per consentire al sistema internazionale di riconoscimento dei titoli di funzionare in modo efficiente ed efficace.
Ciascun Paese dovrà mettere a punto e divulgare nelle forme più opportune:
- il quadro tipologico degli istituti di istruzione superiore appartenenti al proprio ordinamento,corredato delle caratteristiche tipiche di ogni categoria di istituti;
- l’elenco degli istituti riconosciuti (pubblici o privati) facenti parte del proprio sistema di istruzione superiore, indicando la facoltà che hanno di rilasciare vari tipi di titoli di studio e i requisiti per ottenere l’accesso a ciascun tipo di istituti o di programma;
- l’elenco degli istituti ubicati al di fuori del proprio territorio ma che fanno capo al proprio ordinamento nazionale;
- nel caso sia definito un sistema di valutazione formale, informazioni sui metodi e sui risultati di tale valutazione, nonché degli standard di qualità specifici posseduti da ciascun istituto.